E’ necessario favorire una certificazione “etica” dei prodotti, che assicuri l’impiego di lavoratori regolarmente assunti e tutelati, e che al contempo assicuri la qualità del prodotto. Investire ed incentivare l’arricchimento professionale e la specializzazione, così da rendere sempre più difficile la sostituzione indiscriminata con personale inesperto.
Solo attraverso una migliore redditività dei produttori primari che deve nascere da nuovo accordi con l’industria agroalimentare depurata dall’infiltrazione criminale, si potrà garantire una migliore qualità , il rispetto dell’ambiente e della legalità.
A tal proposito è di recente approvazione (novembre 2015) un nuovo disegno di legge sul caporalato, un provvedimento organico, con cui dovrebbero essere rafforzati in futuro gli strumenti contro il caporalato e nel quale provvedimento la seconda voce di spesa autorizzata (150 milioni di euro) riguarda proprio la Regione Campania, ed in particolare quella zona definita “la terra dei fuochi”.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che nel Sud Italia, oltre i problemi già ampiamente discussi, l’agricoltura ha subito una battuta d’arresto anche a causa di quel fenomeno che prende il nome di “Terra dei Fuochi”.
Con tale termine, utilizzato per la prima volta nel 2003 nel Rapporto Ecomafie 2003 curato da Legambiente, si individua una vasta area situata nell’Italia meridionale, sita in Campania, tra le province di Napoli e Caserta, diventata famosa a livello mediatico a causa della presenza di rifiuti tossici e numerosi roghi di rifiuti e il loro impatto sulla salute della popolazione locale.
Dal 1970 in poi nelle campagne della Campania si sono verificati sversamenti di rifiuti industriali, rifiuti tossici e nucleari. In particolare, nelle zone dell’ Agro Aversano, Caivano, Acerra e Giugliano in Campania si sono verificati roghi di rifiuti industriali, responsabili di un alto tasso di tumori.
I primi sospetti sull’attività illegale dello smaltimento dei rifiuti tossici furono evidenziati nella prima metà degli anni 90 da un’ indagine della Polizia di stato condotta dall’allora ispettore della Criminalpol, Roberto Mancini. La sua informativa del 1996 in cui presentava i risultati delle indagini e i dettagli sui reati e i presunti autori non ebbe però ulteriori importanti sviluppi fino al 2011 quando venne ripresa dal Pubblico Ministero della DD di Napoli, Dott. Alessandro Milita che riavviò le indagini. Nel 2011, secondo un rapporto dell’ARPA della Campania, un’area di 3 milioni di metri quadri, compresa tra i Regi Lagni, Lo Uttaro, Masseria del Pozzo-Schiavi (nel Giuglianese) ed il quartiere di Pianura della città di Napoli, risulterebbe molto compromessa per l’elevata e massiccia presenza di rifiuti tossici.
Negli ultimi 23 anni sono stati smaltiti nella Terra dei Fuochi circa 10 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni tipo: scorie derivanti dalla metallurgia termica dell’alluminio, polveri di abbattimento fumi, fanghi di depuratori industriali, reflui liquidi contaminati da metalli pesanti, rifiuti contenenti amianto, morchie di verniciatura.
Nel 2015 nel comune di Calvi Risorta il Corpo forestale dello Stato ha scoperto un’area di sversamento dei rifiuti clandestina, ritenuta la più grande discarica sotterranea d’Europa di rifiuti tossici.
Dal 2001 ad oggi sono state 33 le inchieste per attività organizzata di traffico illecito di rifiuti condotte dalle procure attive nelle due province di Napoli e Caserta. I magistrati
hanno emesso 311 ordinanze di custodia cautelare, con 448 persone denunciate e 116 aziende coinvolte. L’Arpac, l’Agenzia per l’ambiente della Regione Campania, ha individuato 2 mila siti inquinati.
Ad oggi, nonostante un intervento legislativo specifico su questo annoso problema che affligge la Campania, risultano poche le analisi fatte sui terreni, progetti di bonifica assenti, nessun risanamento delle falde e dati epidemiologici preoccupanti.
Anche in relazione a questa ennesima questione che mortifica l’agricoltura italiana, soprattutto del meridione, occorre un serio intervento per programmare il futuro del settore, che potrebbe essere rappresentato dalla costruzione, proprio nel territorio colpito, di un centro di ricerca che possa specializzarsi nella bonifica dei terreni inquinati, impiegando, ad esempio, le cosiddette piante selettive; spesso infatti la cura è già offerta dalla stessa natura.
La problematica del meridione è quindi complessa, c’è un problema di siti inquinati, di costo del lavoro troppo alto, di bassa produttività, scarsa remunerazione, un problema legato alle mafie, ma c’è anche un problema culturale-sociale di indifferenza, omertà e servilismo. Il riequilibrio passa, pertanto, attraverso un riequilibro culturale. Le persone e lo Stato devono riscattare l’immagine della propria terra, individuare un nuovo tipo di agricoltura che sappia rispettare l’ambiente e la dignità di chi lavora , che sia intesa come una leva di sviluppo di tutto il meridione e l’Italia.
A questo fine potranno indubbiamente influire le norme già citate che riguardano la confisca di beni a soggetti criminali, quali mafiosi o camorristi o altro, ed anche la gestione diretta delle colture o degli opifici artigianali o industriali, oggetti della confisca, affidata a cooperative di lavoratori che direttamente partecipano agli utili, allo sviluppo ed al progresso aziendale per un miglioramento di vita.
Tutto questo però deve essere realizzato superando timori legati a fattori ed esperienze, presenti e remote, ambientali, alla diffidenza di soggetti interessati, i quali se non adeguatamente protetti e rassicurati potrebbero sempre preferire un salario dimezzato e di fame, piuttosto che correre pericoli personali e spesso irreparabili.